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"Teatro della parola", della giovane scrittrice svizzera Sylviane Dupuis, non è un poema e non è un dialogo drammatico. È un valzer a due voci, dove un uomo e una donna, ora sciolti ora fusi, usano le parole come gesti, vettori di movimento. Finché, quasi dimentichi di se stessi, con devozione si piegano per nutrire il nuovo che faticosamente spunta dalla terra sgombra. Due corpi del tutto fuori baricentro, che volteggiano in una zona di pericolo appena un passo fuori dalla civiltà in rovina. Ad ascoltarli, pare di vederli procedere con un curioso vacillamento non privo di fermezza, quasi stessero per attraversare un vuoto che improvvisamente ha preso forma.